“Nel mare ci sono i coccodrilli”è la storia di Ena, giovane afghano di etnia hazara, raccolta da Fabio Geda, educatore e scrittore torinese.
La storia inizia nel 2001, quando Enaiatollah Akbari che ha più o meno dieci anni, viene portato in Pakistan dalla madre e lì abbandonato per essere messo in salvo dalla schiavitù e dalle persecuzioni razziali. Come potrà un bambino vissuto in campagna, una campagna poetica (io vedevo la frutta che nasceva) ma dove anche la scuola era un diritto negato (la vita senza la scuola è come la cenere) riuscire a sopravvivere e a cavarsela da solo?
Ena non ha un piano, cerca di sopravvivere ogni giorno alla fatica, alla fame e alle prepotenze, senza compiangersi troppo e rispettando la promessa fatta alla mamma (tre cose non devi mai fare nella vita): impara a fare piccole commissioni, a portare il chay nei negozi senza fare danni, a vendere gomme da masticare, fino a quando non ce la fa più e decide di partire, per andare dove la razza a cui appartieni non è un motivo per farsi maltrattare.
La narrazione ripercorre le tappe del il viaggio che Ena affronta da uomo pur essendo un bambino, grazie all’aiuto di amici fraterni e soprattutto alla sua forza d’animo che non lo fa mai arrendere. E’ un viaggio allucinante attraverso le montagne turche dove incontra persone sedute “sedute per sempre, erano congelate” a cui ruba le scarpe, viaggio nel sottofondo del cassone di un camion (ogni gesto provocava sofferenze terribili)o su un gommone via mare, il mare che spaventa perché ci sono i coccodrilli…..
E finalmente è l’Europa, prima la Grecia dove arriva completamente nudo ma dove trova chi gli dà da mangiare, da vestire e lo rimette in condizione di ripartire… per arrivare a Roma e poi a Torino, dove a distanza di dieci anni, lavora e studia, ospite di una famiglia.
“Ci sono tante storie soffocate che non conosce nessuno. Mi piacerebbe portare la loro voce su un pezzo di carta” dice Ena, e questo libro ci ricorda che ogni Ena che passa davanti ai nostri occhi, è un essere umano con la sua storia e non un “clandestino”.
Perché essere clandestini significa non avere nessuna identità e nessun diritto e ogni volta che si nega a qualcuno il diritto di esistere, cancelliamo un pezzo di noi stessi.
Recensione di Eleonora Pantò
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